Malattia di Parkinson .....
Quale terapia per Quale paziente?
Prof. Alberto Albanese

 

Si parla e si legge molto sulla malattia di Parkinson, per diverse ragioni. In primo luogo, ha un'incidenza elevata ed interessa, perciò, molte persone; inoltre, la ricerca è molto impegnata su questa malattia, più che sulle altre sindromi parkinsoniane e centellina nuove scoperte con cadenza regolare.
La maggior parte di tali scoperte riceve larga diffusione sui mezzi di comunicazione e non è sempre oggetto di analisi approfondite, soprattutto a causa della complessità dei problemi che ruotano intorno alle conoscenze scientifiche in questo campo. I pazienti ci chiedono spesso di ricevere le ultime terapie, di cui hanno appena sentito parlare, con la speranza che dietro l'angolo vi sia una soluzione definitiva e radicale ai loro problemi. Mi si consenta, allora, di riepilogare qui brevemente quali sono, a mio parere, i punti acquisiti e quelli attesi nella terapia della malattia di Parkinson.
Conoscenze acquisite .
1 - Negli ultimi anni i clinici hanno effettuato un lavoro poco noto, che non ha costituito notizia giornalistica, ma ha strutturato la pratica clinica. Sono stati condotti numerosi studi controllati sull'efficacia di diverse strategie terapeutiche nel breve e lungo periodo. Sono stati sottoposti a scrutinio sistematico le terapie a base di levodopa, di dopaminoagonisti, di selegilina e degli inibitori COMT. I risultati di questi studi hanno dato luogo alla stesura di linee guida di trattamento (per opera di diverse società scientifiche) e alla pubblicazione di articoli sulle terapie nelle diverse fasi di malattia. In sintesi, vi è ormai un consenso sui punti seguenti:
· La levodopa è generalmente meglio tollerata ed è più potente dei farmaci dopaminoagonisti.
· L'uso precoce dei farmaci dopaminoagonisti e l'uso parsimonioso della levodopa nelle fasi iniziali di malattia consentono di ritardare la comparsa di fluttuazioni motorie e di discinesie e di limitarne la gravità.
· E' consigliabile, pertanto, utilizzare inizialmente farmaci dopaminoagonisti in monoterapia e associare poi levodopa quando necessario. Questa strategia è tanto più opportuna nelle persone più giovani, ma è più rischiosa nelle persone più anziane, poiché i rischi e gli effetti collaterali dei farmaci dopaminoagonisti si accentuano con l'età.
· L'azione della levodopa può essere potenziata dall'aggiunta di inibitori MAO (selegilina) e di inibitori COMT (entacapone). Non vi è alcuna indicazione all'uso precoce di tali farmaci e non vi è alcuna evidenza di una loro azione protettiva sulla progressione della malattia.
2 - Le ricerche degli ultimi anni hanno consentito di chiarire in modo dettagliato il ruolo relativo dei fattori genetici e dei fattori ambientali nell'origine della malattia di Parkinson. In primo luogo è possibile affermare scientificamente quanto i pazienti hanno già osservato personalmente, in particolare nel frequentare le associazioni.
La malattia ha una natura molto eterogenea, vi sono forme a progressione lenta accanto ad altre con progressione rapida; forme a fenomenologia semplice accanto ad altre con fenomeni clinici complessi. E' un grave errore raggruppare i pazienti tutti assieme, come se avessero esattamente i medesimi problemi.
Le ricerche genetiche hanno mostrato l'esistenza di almeno sei geni capaci di causare malattie di Parkinson; è poi probabile che ve ne siano almeno altrettanti da scoprire. Gli studi clinici hanno poi mostrato l'esistenza di diverse sostanze ambientali (tossine, microrganismi, ecc.) in grado di provocare forme di malattia di Parkinson. Nella maggior parte dei casi la causa non è né solo genetica né solo ambientale, ma è legata all'interazione tra fattori ambientali e predisposizione genetica.
In sostanza avviene che una persona portatrice di una certa predisposizione genetica può imbattersi in un fattore ambientale che attivi il gene o interferisca con l'attività dei gene predisponente per causare la malattia. Un parente dei malato o un altro soggetto portatore dello stesso gene, che non incontri il fattore ambientale necessario, non svilupperà la malattia. Queste conoscenze aprono le porte alle ricerche di farmacogenetica volte a identificare le terapie più adatte ai pazienti dotati di una specifica costituzione genetica. Attualmente tutti i pazienti sono curati con le stesse medicine somministrate con criteri pratici; in futuro si potranno consigliare a ciascun paziente le terapie più appropriata, sulla base di conoscenze specifiche.
3 - Accanto ai farmaci, nel corso degli ultimi anni, si è sviluppata una nuova terapia neurochirurgica, che si basa sull'impianto di neurostimolatori nella profondità dell'encefalo. Questi pace-maker hanno un'efficacia sintomatica, per molti aspetti paragonabile a quella dei farmaci, e s'integrano bene con le terapie mediche. Nelle fasi avanzate di malattia, l'uso combinato di farmaci antiparkinsoniani e della neurostimolazione consente di gestire in modo soddisfacente molti pazienti con fluttuazioni motorie e discinesie.
4 - Le terapie disponibili sono tutte sintomatiche, vanno in altre parole adattate alle fasi di malattia e alle caratteristiche di ciascun paziente, al fine di ottenere la migliore risposta clinica possibile. Non esistono terapie in grado di arrestare (o rallentare) la progressione dei fenomeno degenerativo, né esistono oggi terapie ricostruttive, in grado di ripristinare un sistema di collegamenti nervosi nuovamente efficiente.
Prospettive future .
Non è facile predire che cosa ci offrirà il futuro. Nella maggior parte dei casi, la ricerca clinica sulla malattia di Parkinson ha fornito risultati insperati e inattesi. L'ultimo esempio di questo tipo è la scoperta della neurostimolazione, la cui efficacia terapeutica non sarebbe stata prevedibile solo dieci anni fa. In generale, è possibile affermare che i risultati più importanti derivano dall'interazione tra la ricerca di base e quella clinica. Lo sforzo principale della ricerca di base oggi è, a mio parere, rivolto verso l'identificazione dei dettagli molecolari che causano la degenerazione delle cellule nella malattia di Parkinson. Se tali meccanismi saranno delucidati a sufficienza (e se saremo fortunati) potremo disporre in un prossimo futuro di terapie in grado di arrestare la degenerazione delle cellule dopaminergiche e di contrastare l'evoluzione della malattia.
E' questo il mio augurio per tutti i pazienti.

Parkinson Italia News n.2002-1