Si parla e si legge molto sulla
malattia di Parkinson, per diverse ragioni. In primo luogo, ha
un'incidenza elevata ed interessa, perciò, molte persone;
inoltre, la ricerca è molto impegnata su questa malattia,
più che sulle altre sindromi parkinsoniane e centellina
nuove scoperte con cadenza regolare.
La maggior parte di tali scoperte riceve larga diffusione sui
mezzi di comunicazione e non è sempre oggetto di analisi
approfondite, soprattutto a causa della complessità dei
problemi che ruotano intorno alle conoscenze scientifiche in
questo campo. I pazienti ci chiedono spesso di ricevere le ultime
terapie, di cui hanno appena sentito parlare, con la speranza
che dietro l'angolo vi sia una soluzione definitiva e radicale
ai loro problemi. Mi si consenta, allora, di riepilogare qui
brevemente quali sono, a mio parere, i punti acquisiti e quelli
attesi nella terapia della malattia di Parkinson.
Conoscenze acquisite .
1 - Negli ultimi anni i clinici hanno effettuato un lavoro poco
noto, che non ha costituito notizia giornalistica, ma ha strutturato
la pratica clinica. Sono stati condotti numerosi studi controllati
sull'efficacia di diverse strategie terapeutiche nel breve e
lungo periodo. Sono stati sottoposti a scrutinio sistematico
le terapie a base di levodopa, di dopaminoagonisti, di selegilina
e degli inibitori COMT. I risultati di questi studi hanno dato
luogo alla stesura di linee guida di trattamento (per opera di
diverse società scientifiche) e alla pubblicazione di
articoli sulle terapie nelle diverse fasi di malattia. In sintesi,
vi è ormai un consenso sui punti seguenti:
· La levodopa è generalmente meglio tollerata ed
è più potente dei farmaci dopaminoagonisti.
· L'uso precoce dei farmaci dopaminoagonisti e l'uso
parsimonioso della levodopa nelle fasi iniziali di malattia consentono
di ritardare la comparsa di fluttuazioni motorie e di discinesie
e di limitarne la gravità.
· E' consigliabile, pertanto, utilizzare inizialmente
farmaci dopaminoagonisti in monoterapia e associare poi levodopa
quando necessario. Questa strategia è tanto più
opportuna nelle persone più giovani, ma è più
rischiosa nelle persone più anziane, poiché i rischi
e gli effetti collaterali dei farmaci dopaminoagonisti si accentuano
con l'età.
· L'azione della levodopa può essere potenziata
dall'aggiunta di inibitori MAO (selegilina) e di inibitori COMT
(entacapone). Non vi è alcuna indicazione all'uso precoce
di tali farmaci e non vi è alcuna evidenza di una loro
azione protettiva sulla progressione della malattia.
2 - Le ricerche degli ultimi anni hanno consentito di chiarire
in modo dettagliato il ruolo relativo dei fattori genetici e
dei fattori ambientali nell'origine della malattia di Parkinson.
In primo luogo è possibile affermare scientificamente
quanto i pazienti hanno già osservato personalmente, in
particolare nel frequentare le associazioni.
La malattia ha una natura molto eterogenea, vi sono forme a progressione
lenta accanto ad altre con progressione rapida; forme a fenomenologia
semplice accanto ad altre con fenomeni clinici complessi. E'
un grave errore raggruppare i pazienti tutti assieme, come se
avessero esattamente i medesimi problemi.
Le ricerche genetiche hanno mostrato l'esistenza di almeno sei
geni capaci di causare malattie di Parkinson; è poi probabile
che ve ne siano almeno altrettanti da scoprire. Gli studi clinici
hanno poi mostrato l'esistenza di diverse sostanze ambientali
(tossine, microrganismi, ecc.) in grado di provocare forme di
malattia di Parkinson. Nella maggior parte dei casi la causa
non è né solo genetica né solo ambientale,
ma è legata all'interazione tra fattori ambientali e predisposizione
genetica.
In sostanza avviene che una persona portatrice di una certa predisposizione
genetica può imbattersi in un fattore ambientale che attivi
il gene o interferisca con l'attività dei gene predisponente
per causare la malattia. Un parente dei malato o un altro soggetto
portatore dello stesso gene, che non incontri il fattore ambientale
necessario, non svilupperà la malattia. Queste conoscenze
aprono le porte alle ricerche di farmacogenetica volte a identificare
le terapie più adatte ai pazienti dotati di una specifica
costituzione genetica. Attualmente tutti i pazienti sono curati
con le stesse medicine somministrate con criteri pratici; in
futuro si potranno consigliare a ciascun paziente le terapie
più appropriata, sulla base di conoscenze specifiche.
3 - Accanto ai farmaci, nel corso degli ultimi anni, si è
sviluppata una nuova terapia neurochirurgica, che si basa sull'impianto
di neurostimolatori nella profondità dell'encefalo. Questi
pace-maker hanno un'efficacia sintomatica, per molti aspetti
paragonabile a quella dei farmaci, e s'integrano bene con le
terapie mediche. Nelle fasi avanzate di malattia, l'uso combinato
di farmaci antiparkinsoniani e della neurostimolazione consente
di gestire in modo soddisfacente molti pazienti con fluttuazioni
motorie e discinesie.
4 - Le terapie disponibili sono tutte sintomatiche, vanno in
altre parole adattate alle fasi di malattia e alle caratteristiche
di ciascun paziente, al fine di ottenere la migliore risposta
clinica possibile. Non esistono terapie in grado di arrestare
(o rallentare) la progressione dei fenomeno degenerativo, né
esistono oggi terapie ricostruttive, in grado di ripristinare
un sistema di collegamenti nervosi nuovamente efficiente.
Prospettive future .
Non è facile predire che cosa ci offrirà il futuro.
Nella maggior parte dei casi, la ricerca clinica sulla malattia
di Parkinson ha fornito risultati insperati e inattesi. L'ultimo
esempio di questo tipo è la scoperta della neurostimolazione,
la cui efficacia terapeutica non sarebbe stata prevedibile solo
dieci anni fa. In generale, è possibile affermare che
i risultati più importanti derivano dall'interazione tra
la ricerca di base e quella clinica. Lo sforzo principale della
ricerca di base oggi è, a mio parere, rivolto verso l'identificazione
dei dettagli molecolari che causano la degenerazione delle cellule
nella malattia di Parkinson. Se tali meccanismi saranno delucidati
a sufficienza (e se saremo fortunati) potremo disporre in un
prossimo futuro di terapie in grado di arrestare la degenerazione
delle cellule dopaminergiche e di contrastare l'evoluzione della
malattia.
E' questo il mio augurio per tutti i pazienti.
Parkinson Italia News n.2002-1 |