Nel corso degli ultimi mesi
la stampa ha parlato molto di un nuovo farmaco che avrebbe la
capacità di rallentare o addirittura "frenare"
il processo di degenerazione cellulare proprio di questa malattia.
Si è anche parlato molto di un esame - la SPECT - che
offre la possibilità di verificare l'eventuale inizio
di una degenerazione delle cellule dopaminergiche anche ad uno
stadio molto precoce della malattia quando i sintomi non si sono
ancora manifestati (se ben ricordo i sintomi del Parkinson compaiono
quando già l'80% delle cellule della "sostanza nera"
è andato distrutto).
Vorrei sapere: 1) se un tale farmaco dall'effetto marcatamente
neuroprotettore esiste veramente. 2) se è fondato pensare
che abbinando il farmaco neuroprotettore al rilievo di uno stato
di sofferenza cellulare ai suoi primi inizi (grazie alla SPECT)
non sia possibile rallentare il processo di degenerazione delle
cellule della "sostanza nera" in modo tale da ritardare
di molti anni la comparso della manifestazioni cliniche della
malattia. Se così fosse la SPECT dovrebbe diventare un
esame di routine per tutte quelle persone che vuoi per la presenza
di altri casi di Parkinson in famiglia, vuoi per essere state
molto a contatto con sostanze tossiche suscettibili di provocare
la malattia, sono da considerarsi a rischio.
SPECT e PET
Prima di parlare della SPECT
e della PET è necessaria una breve premessa. La malattia
di Parkinson è caratterizzata dalla perdita delle cellule
nervose costituenti la sostanza nera che producono dopamina.
La sostanza nera è una piccola struttura nervosa situata
alla base dei cervello e le sue cellule proiettano terminali
nervosi in una altra struttura lo striato che si trova sempre
nella regione centrale dei cervello. Dai terminali nervosi viene
secreta la dopamina, il neurotrasmettitore fondamentale per l'attività
motoria. Nella malattia di Parkinson pertanto si riducono i terminali
nervosi e si riduce grandemente la quantità di dopamina
nello striato.
La PET e la SPECT sono metodiche di indagine radiologica che
permettono di visualizzare particolari sostanze radioattive.
E oggi possibile somministrare all'uomo, sia in condizioni
di normalità sia in condizioni di malattia, sostanze radioattive
che vengono catturate in modo specifico o prevalente da alcune
strutture nervose. In particolare per quanto concerne il Parkinson
sono disponibili sostanze radioattive che vengono catturate dai
sistemi di trasporto della dopamina e cioè dai terminali
nervosi dopaminergici a livello dello striato. Queste sostanze
vengono definite traccianti ed una di queste è il beta-CIT
Sia la SPECT, ma certamente meglio la PET, ci permettono di quantificare
la percentuale di riduzione dei terminati dopaminergici rispetto
al soggetto normale, e valutare nel tempo la progressione della
malattia.
Si potrebbe concludere che questi esami permettano di fare la
diagnosi di malattia di Parkinson, ma questo non corrisponde
alla realtà in quanto le alterazioni della sostanza nera
provocate da altre cause (ad esempio in tutti i parkinsonismi
degenerativi) determinano una perdita dei terminati dopaminergici
a livello striatale e quindi una riduzione dei tracciante radioattivo
simile a quella che si osserva nella malattia di Parkinson. Queste
indagini sono certamente utili in casi particolari, laddove la
diagnosi è particolarmente difficile o per motivi di studio.
La diagnosi della malattia di Parkinson rimane ancora sempre
una diagnosi clinica che tiene conto soprattutto dei sintomi,
dei decorso e della risposta ai farmaci.
FARMACI NEUROPROTETTORI
In reali due studi recenti
dimostrano un supposto effetto neuroprotettivo da parte di due
diversi farmaci dopaminoagonisti, il pramipexolo ed il ropinirolo.
Il primo studio, pubblicato su JAMA nell'Aprile 2002, dal Parkinson
Study Group concerne il pramipexolo.
Per valutare la progressione della malattia è stata utilizzata
la SPECT con un marcatore specifico delle terminazioni dopaminergiche,
il beta-CIT. In questo studio 42 malati in fase iniziale di malattia
hanno incominciato la terapia con il pramipexolo, e 40 malati,
sempre in fase iniziale di malattia, hanno preso come primo farmaco
la L-dopa con carbidopa.
I malati sono stati seguiti per 46 mesi e la SPECT, espletata
all'inizio della prova e quindi durante la stessa ed al suo termine
dopo 46 mesi dall'inizio, ha dimostrato che vi è in tutti
e due i gruppi di malati, quelli curati con pramipexolo e quelli
curati con L-dopa, una progressiva perdita dei terminali dopaminergici,
ma allo stesso tempo che la percentuale di perdita di questi
terminali è ridotta nel gruppo dei soggetti trattati con
pramipexolo rispetto al gruppo dei soggetti trattati con L-dopa
(16% di perdita nel gruppo pramipexolo, rispetto al 25,5% nel
gruppo L-dopa). Nel secondo studio, concernente il ropinirolo,
i cui risultati sono stati presentati al Congresso dell'American
Academy of Neurology (aprile 2002), sono stati confrontati due
gruppi di pazienti: 93 che avevano iniziato la cura con il ropinirolo
e 93 che avevano preso la L-dopa. I pazienti sono stati seguiti
per due anni e la PET (con Fluorodopa come tracciante), eseguita
all'inizio della prova ed al suo termine dopo 2 anni, dimostrò
una riduzione percentuale dei terminali dopaminergici striatali
in entrambi i gruppi dei pazienti. Questa percentuale era inferiore
nei soggetti trattati con ropinirolo, rispetto a quella riscontrata
nei soggetti trattati con L-dopa (13 % in confronto a 20%).
Entrambi questi studi dimostrano quindi che la percentuale di
perdita dei neuroni dopaminergici è inferiore nei soggetti
che iniziano la cura della malattia con un dopaminoagista (nel
caso particolare pramipexolo o ropinirolo).Questi vanno incontro
ad una riduzione percentuale dei terminali dopaminergici striatali
inferiore a quella riscontrata nei soggetti in terapia con L-dopa.
Poiché la percentuale di perdita dei neuroni dopaminergici
è strettamente correlata alla gravità della malattia
ed è un indice della progressione della malattia, si dovrebbe
concludere che la progressione di malattia è stata più
lenta nei soggetti curati con i dopaminoagonisti. In altre parole
questi farmaci avrebbero esercitato un effetto neuroprotettivo.
Vanno fatte però alcune considerazioni e devono essere
considerati alcuni altri dati. In primo luogo quello che non
è ancora chiarito è se la differenza osservata
è dovuta ad un effetto tossico della L-dopa che determinerebbe
una accelerazione della morte cellulare o se è la conseguenza
di un reale effetto parzialmente neuroprotettivo dei dopaminoagonisti.
Per chiarire questo quesito saranno necessarie ulteriori osservazioni.
In secondo luogo la valutazione clinica dei malati ha dimostrato
che i parkinsoniani trattati con L-dopa presentavano una sintomatologia
migliore, sia pur di poco, di quella dei soggetti curati con
dopaminoagonisti. Inoltre la qualità di vita non appariva
diversa nei due gruppi.
Una terza ed ultima osservazione è quella concernente
gli effetti collaterali, in particola le ipercinesie e le fluttuazioni
motorie. Le fluttuazioni motorie non sembravano diverse, mentre
le ipercinesie erano significativamente inferiori nei soggetti
in terapia con dopaminoagonisti. Per quanto concerne le re è
da sottolineare che quando non sono intense e sono limitate ad
un segmento corporeo non sono assolutamente disturbanti per il
malato, che spesso non si rende conto di averle. E perciò
evidente che sotto il profilo clinico, e sulla base dei dati
riguardanti l'autonomia individuale nella vita di tutti i giorni,
non vi sono chiari elementi che dimostrino una diversa evoluzione
della malattia, ad eccezione delle ipercinesie.
In conclusione, pur avendo presente la necessità di ulteriori
approfondimenti, non si può trascurare il valore dei risultati
di questi due studi. Pertanto sarà necessario, soprattutto
per i malati con una età di esordio della malattia di
60 anni o inferiore, valutare l'opportunità di iniziare
le cure con un farmaco dopaminoagonista, che potrebbe rallentare
la progressione della malattia.
Questo consiglio va adattato ovviamente al singolo malato, in
considerazione dello stato psicologico, dei suoi desideri e delle
attività lavorative nonché dei suoi rapporti familiari.
Parkinson Italia News -
n.2002-2 |