Nel contesto delle terapie
sperimentali , il termine neuroprotezione si riferisce ad interventi
miranti a rallentare o arrestare la progressione della degenerazione
neuronale mediante interferenze con i meccanismi patogenetici
della morte cellulare; per "neurosalvataggio" si intende
l'intervento terapeutico capace di normalizzare cellule neuronali
"malate" in quanto lesionate, ma non ancora morte e
pertanto rivitalizzabili. Nel caso della malattia di Parkinson
(mP) ancora poco si sa circa l'eziologia e il ruolo relativo
di fattori genetici ed ambientali; tuttavia qualunque sia la
causa ultima, una varietà ampia di meccanismi sono stati
implicati nella patogenesi della mP, che vanno dallo stress ossidativo,
alla neurotossicità degli amminoacidi eccitatori, dalla
generazione dei radicali liberi, a processi auto-immunitari e
all'apoptosi. Tali meccanismi patogenetici sono accelerati dall'accumulo
di ferro e verosimilmente dalla levodopa. Anche difetti della
catena respiratoria mitocondriale e del sistema di trasporto
della dopamina sono stati identificati come potenziali cause
di disfunzione nigro-striatale . In breve le strategie neuroprotettive
possono essere schematizzate come segue:1) Eliminazione di radicali
liberi, 2) Inibizione del rilascio di glutammato; 3) Inibizione
della sintesi di ossido nitrico; 4) Inibizione di fenomeni ossidativi;
5) Stimolazione del Complesso I mitocondriale; 6) Blocco dei
canali di calcio di membrana; 7) Utilizzo di agenti anti-apoptotici.
La tomografia ad emissione di singolo fotone (SPECT) e la tomografia
ad emissione di positroni (PET) costituiscono metodiche per valutare
"in vivo" le modificazioni neuronali dopaminergiche
della mP, consentendo di valutare la gravità della malattia
in relazione al grado di degenerazione neuronale e la sua progressione
nel tempo.
La SPECT con [123I]ß o FP-CIT è tecnica assai sensibile
nel rilevare variazioni del sistema dopaminergico anche in fase
pre-sintomatica, tanto che è possibile mettere in evidenza
una precoce riduzione di uptake bilaterale a livello dei putamen
anche quando i pazienti presentano ancora, nelle fasi iniziali,
disturbi motori unilaterali (1). Questa capacità di identificazione
di casi pre-clinici può essere di grande utilità
in soggetti a rischio, come quelli con una forte familiarità,
e potrà avere implicazioni ancora più rilevanti
in futuro se farmaci saranno in grado di rallentare o addirittura
correggere il processo neurodegenerativo. La SPECT con [123I]ß
o FP-CIT può essere utilizzata per studiare il grado di
degenerazione delle fibre dopaminergiche nigro-striatali e, quindi,
può misurare in termini quantitativi la gravità
della malattia cosa non sempre facile sulla base dei soli criteri
clinici. E' stata inoltre riportata una stretta correlazione
tra i valori di uptake del ligando e la durata e la gravità
della malattia valutata secondo tali comuni scale cliniche .
La quantificazione del deficit del sistema dopaminergico nigro-striatale
ha ovviamente una implicazione importante nell'esame della progressione
di malattia consentendo l'analisi della storia naturale della
stessa e la valutazione ed il monitoraggio obiettivo di terapie
neuroprotettive presenti e future nella mP. In particolare è
stato riportato che il declino annuale di uptake striatale di
[123I]ß-CIT è del 8-12 % in pazienti con mP stabile,
mentre si osserva una più rapida caduta annuale dell'uptake
striatale del tracciante in soggetti con durata inferiore a 2
anni rispetto ai pazienti con più lunga storia di malattia
(2).
La PET con 18F-Dopa costituisce
uno strumento obiettivo di valutazione della progressione di
malattia (3). Sulla base di vari studi, oggi è possibile
estrapolare che il periodo preclinico, ossia dall'inizio del
processo neurodegenerativo alla comparsa dei sintomi, è
di circa 5-10 anni. L'interessamento putaminale è precoce
e precede l'esordio clinico, tanto che in soggetti con emi-mP
è stato evidenziato un coinvolgimento anche del putamen
ipsilaterale, con un maggior interessamento delle strutture dorsali
rispetto alle ventrali.
All'inizio dei sintomi i pazienti affetti da mP mostrano una
riduzione di circa il 30% dell'uptake di FD nel putamen controlaterale
alla sintomatologia clinica. Lo studio con 18F-Dopa pertanto
ha la notevole potenzialità di riconoscere una disfunzione
nigrale subclinica in soggetti a rischio per mP, quali sono ad
esempio soggetti affetti da tremore isolato posturale e/o di
riposo, che sovente sviluppano nel giro di alcuni anni una mP
conclamata.
E' oggi noto che all'origine di alcuni alberi genealogici con
mP familiare ci siano mutazioni del gene per l'alfa-sinucleina,
e il quadro clinico dei membri affetti è pressoché
indistinguibile da quello della mP sporadica. Il pattern di funzionalità
dopaminergica nigro-striatale in queste forme ereditarie, così
come nelle più rare mutazioni del gene parkina, è
del tutto sovrapponibile a quello della mP sporadica.
La PET con 18F-Dopa consente di riconoscere nell'ambito di queste
famiglie i soggetti con parkinsonismo pre-clinico. In una ampia
casistica lo studio PET con 18F-Dopa ha rivelato in oltre un
terzo dei familiari asintomatici una disfunzione dopaminergica
nigrostriatale in fase pre-clinica sotto forma di ridotto uptake
del tracciante al livello del putamen rispetto al valore normale
(4).
La PET con 18F-Dopa ha fornito
inoltre un importante contributo nella definizione del ruolo
della genetica nella mP sporadica. Infatti il riscontro di sempre
nuove mutazioni genetiche rende ragione di una parte sempre più
significativa dei casi di mP familiare, tuttavia il ruolo dell'ereditarietà
nel determinismo eziologico delle forme molto più diffuse
di mP sporadica rimane controverso. Gli studi su gemelli rappresentano
classicamente un modello di studio per valutare l'influenza dei
fattori ereditari nelle malattie. PET con 18F-Dopa è stata
eseguita in coppie di gemelli omozigoti e dizigoti, in cui uno
fosse parkinsoniano e l'altro clinicamente sano, con il risultato
che mentre nelle coppie dizigotiche il pattern dopaminergico
nigro-striatale nel gemello sano risulta normale, nelle coppie
omozigotiche, nel 60% dei gemelli clinicamente sani, è
stata riscontrata una disfunzione dopaminergica nigro-striatale
subclinica. Un'osservazione longitudinale per 7 anni ha infine
rafforzato tale dato, poiché 4 (su 18 coppie) gemelli
omozigoti clinicamente sani alla prima osservazione hanno in
seguito sviluppato una mP clinica, a fronte di nessun caso segnalato
tra le coppie di gemelli dizigoti (16 coppie). Tale dato, suggerisce
un ruolo sostanziale per l'ereditarietà, verosimilmente
a carattere multifattoriale, nella mP sporadica (5) ed enfatizza
la capacità predittiva della disfunzione dopaminergica
nigro-striatale della PET con 18F-Dopa. L'insorgenza delle manifestazioni
cliniche si verificherebbe pertanto in corrispondenza di una
riduzione dell'uptake di 18F-Dopa putaminale del 30% circa rispetto
ai valori normali. Studi longitudinali hanno evidenziato che
la perdita di neuroni dopaminergici nigrostriatali avviene con
un ritmo approssimativo del 4-12 % annuo, con una finestra utile
per l'identificazione dei casi preclinici di solo pochi anni
. In particolare è stato dimostrato che il decremento
per anno del valore medio di uptake del tracciante è del
9% rispetto al basale in pazienti affetti da mP con più
lunga durata ; viceversa casi precoci di mP (con durata <
2 anni) hanno un declino annuale 4 volte più rapido dei
casi stabili (6).
Nel complesso tale metodica costituisce uno strumento potenzialmente
cruciale per valutare l'inizio del processo degenerativo in soggetti
a rischio genetico o ambientale per mP, e l'efficacia di trattamenti
farmacologici nel rallentare la progressione della malattia (espressa
in termini di riduzione dell'uptake della 18F-Dopa).
Inoltre questa indagine funzionale consente di valutare l'efficacia
di terapie sintomatiche. In particolare la metodica permette
di analizzare l'efficacia in vivo di farmaci la cui azione principale
è di prolungamento della durata d'azione della levodopa,
quali gli inibitori delle Catecol-O-Metil-Transferasi (COMT),
risultato terapeutico particolarmente importante per i pazienti
che presentino fluttuazioni motorie. In tal caso l'analisi dei
dati di uptake della 18F-Dopa deve essere estesa per un periodo
di tempo più lungo dello studio di routine, mirando tale
indagine alla valutazione del metabolismo della levodopa. Nel
caso di inibitori delle COMT in grado di agire sia a livello
periferico che centrale il metabolismo della levodopa, e quindi
della 18F-Dopa è rallentato, questo permettendo una stabilizzazione
delle concentrazioni sinaptiche del neurotrasmettitore, una maggiore
durata di azione, ed efficacia terapeutica sulle fluttuazioni
motorie da trattamento cronico con levodopa (7).
Nel complesso tali metodiche costituiscono uno strumento potenzialmente
cruciale per valutare l'inizio del processo degenerativo in soggetti
a rischio genetico o ambientale per mP, e l'efficacia di trattamenti
neuroprotettivi (espressa in termini di riduzione dell'uptake
della 18F-Dopa o del ligando del trasportatore dopaminergico).
La validità di tale strumento obiettivo di monitoraggio
è inoltre rafforzata dal fatto che la terapia cronica
con farmaci dopaminomimetici non influenza significativamente
l'uptake striatale del tracciante. Per quanto riguarda il ligando
del trasportatore dopaminergico è stato dimostrato che
né l'infusione di alte dosi di levodopa (8), né
la somministrazione cronica di dopaminoagonisti modifica l'uptake
striatale del tracciante. Inoltre è stato osservato che
il declino annuale di uptake striatale di [123I]ß-CIT in
un gruppo di pazienti in terapia dopaminergica risulta sovrapponibile
a quello di un gruppo di pazienti senza terapia. Per ciò
che concerne la 18F-Dopa, poiché il suo metabolismo segue
la stessa via del prodotto freddo, non vi è interazione
significativa con i dopamino-agonisti. La non significativa interferenza
da parte di dosaggi terapeutici di levodopa con l'uptake striatale
di 18F-Dopa è stata di recente riportata (9) anche se
in merito ulteriori studi saranno necessari. In conclusione tali
metodiche di indagine molecolare consentono un monitoraggio obiettivo
perché quantitativo, riproducibile ed affidabile, e relativamente
scevro di interferenze connesse con la terapia sintomatica, e
pertanto rappresentano uno strumento ideale per la valutazione
dell'efficacia di supposte terapie neuroprotettive.
Dopamino-agonisti e neuroprotezione.
Particolare enfasi negli ultimi anni è stata posta attorno
al ruolo neuroprotettivo dei farmaci dopaminoagonisti. I meccanismi
d'azione di tale classe di farmaci sono molto ampi e comprendono:
a) l'inibizione (D2 agonisti) della sintesi, rilascio e metabolismo
di dopamina (meccanismo auto-recettore mediato), con riduzione
dei radicali liberi;b)riduzione del danno nigro-striatale prodotto
dalla somministrazione cronica di levodopa attraverso metaboliti
ossidativi tossici; c) meccanismo antiossidante mediante eliminazione
di radicali liberi e ossido nitrico, inibizione della perossidazione
lipidica ed incremento dell'attività degli enzimi antiossidanti;
d) espressione di proteine anti-apoptotiche (in colture cellulari).
I dati provenienti dai trials clinici hanno dimostrato che la
monoterapia o il precoce trattamento con dopaminoagonisti ritarda
la necessità di levodopa e minimizza il rischio di complicanze
motorie, ed inoltre la sostanziale equivalenza rispetto alla
levodopa come terapia sintomatica (studi in monoterapia con pramipexolo
e ropinirolo), limitatamente agli stadi I eII di malattia e per
un periodo di tempo pari a circa 3 anni. Tuttavia le molteplici
e crescenti evidenze cliniche non provano che i dopamino-agonisti
sono in grado di rallentare la progressione di malattia. Questa
preziosissima informazione deriverà esclusivamente da
studi molecolari con indagini PET e SPECT seriate nel tempo,
con l'obiettivo di monitorare la progressione di malattia in
differenti condizioni terapeutiche. I risultati di alcuni di
questi studi sono già disponibili (9,10), mentre per altri
trial e/o per più lunghi follow-up bisognerà attendere
ancora qualche anno.
Conclusioni.
Gli studi di neuroimaging funzionale possono pertanto offrire
un metodo obiettivo di valutazione della progressione di malattia,
permettendo così di evitare una serie di problemi e di
fattori confondenti connessi con gli studi clinici. Tuttavia
gli studi con PET e SPECT forniscono indicatori di funzione del
terminale dopaminergico piuttosto che direttamente della densità
delle cellule nigrali, e pertanto, così come le valutazioni
cliniche, anch'esse sono potenzialmente influenzate da meccanismi
compensatori molecolari e/o di circuito. A causa dell'eterogeneità
rappresentata dalla mP, gli studi con PET o SPECT e supposti
agenti neuroprotettivi richiedono sufficientemente ampie coorti
di pazienti per fornire potere statistico tale da compensare
l'ampia variabilità inter-individuale nella velocità
di progressione della malattia.
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