Se il male ti afferra e ti domandi: perché proprio a me?
di Eugenia Tognotti
(31 giugno 2006)

La malattia è stata una delle realtà più drammatiche e sconvolgenti per l'uomo di ogni tempo. Lo era anche nel mondo di Omero in cui si trovano solo morti o vivi, sani o prontamente risanati, se colpiti da mali o feriti in battaglia, grazie ai phàrmaka e all'arte di guarire. Nell'Iliade la esercitano Podalirio e Macàone, i due figli del dio della medicina, Asclepio, che sotto le mura di Troia restituiscono prontamente la salute perduta ai giovani eroi, estraendo frecce, curando ferite, trattando le piaghe con «blandi rimedi».
La malattia invalidante o cronica non trova spazio in quel mondo ed è stata una realtà pressoché sconosciuta per un lungo tratto della storia umana, quando a dominare erano malattie infettive acute - dalla peste, al vaiolo, al tifo al colera - il cui esito mortale sopraggiungeva nel volgere di pochi giorni. L'inedita situazione rappresentata da un nuovo pianeta popolato di longevi e di sopra-viventi appartiene all'orizzonte della contemporaneità e alla parte del mondo ricca e sviluppata in cui si è compiuta la «transizione epidemiologica» che ha portato le malattie degenerative e croniche a prendere il posto di quelle infettive e acute.
La realtà di patologie come il diabete o la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson e le cardiopatie, accompagna, talora, buona parte della vita, esigendo continui controlli e lunghi periodi di osservazione e di cura, sia a domicilio sia in ambiti specialistici. Invalidanti a vari livelli, esse implicano sofferenza, deprivazione, adattamento a nuovi stili di vita e nel modo di pensare a se stessi in rapporto agli altri. L'esperienza della malattia cronica è al centro di questo libro "
Mille fili mi legano qui. Vivere la malattia", scritto da Silvia Bonino, psicologa dello sviluppo e affetta da sclerosi multipla, che intreccia la scrittura d'esperienza con quella saggistica, attingendo alle risorse del suo sapere scientifico. Subdola, di difficile diagnosi, quella patologia condanna coloro che ne soffrono a dipendere dalla farmacologia e dalla tecnologia medica e a vivere in una multiforme condizione di malessere. Ma quel male resta sullo sfondo ed è evocato sobriamente e raramente col suo nome, come nel capitolo «Perché proprio a me?», uno dei più intensi di questo libro-testimonianza. L'angoscioso, eterno interrogativo - un'eco del lamento di Giobbe, il giusto-sofferente, che, trafitto dal dolore, s'interroga e non capisce - ritorna di fronte al non senso dell'aggressione esogena che scompagina ogni progetto di vita e l'universo delle certezze. Insieme alla morte, la malattia «rappresenta il disordine per eccellenza: essa mette in discussione, insieme alla salute e alla sopravvivenza fisica, tutta la rete di significati, di progetti e di aspettative su cui la nostra vita si era fondata fino a quel momento, e prospetta un avvenire incerto e gravato di pesanti limitazioni».
Ma è possibile affrontare la malattia cronica come uno dei tanti «compiti di sviluppo», ammesso che questo non sia solo il risultato di «guadagni», di progressi, ma anche di perdite? L'autrice ne è convinta. La sua riflessione scientifica, mai staccata dall'esperienza soggettiva, si muove intorno ai principi teorici della psicologia dello sviluppo in relazione al tema della malattia cronica, e al ruolo attivo del malato nel costruire un percorso di sviluppo e adattamento nella concretezza del vissuto: «trovare un senso», «ricostruire l'identità», «affrontare lo stress» danno anche il titolo ad alcuni capitoli del libro.
Dal malato al medico, il passo è breve e introduce alla relazione di cura, che presenta caratteri del tutto particolari in mali in cui - scriveva un clinico a metà Ottocento - «il guarir non ha luogo» e lo specialista è chiamato, nel tempo lungo della loro durata, a «prendersi cura», sapendo di non poter guarire, tra scienza e valori umani . Le considerazioni sulla necessità di vivere al meglio la propria esistenza «nell'angolo di mondo e nell'arco di tempo [...]concesso» chiudono la sofferta meditazione e spiegano il senso del titolo: i mille fili sono quelli che formano l'intricata rete della vita di ogni persona e che collegano i fatti, gli incontri, le esperienze, i luoghi, immaginati prima come privi di rapporti reciproci.
La malattia cronica, allora, quella cosa «Altra» può diventare, nel suo radicale non senso, l'occasione per mostrare non soltanto l'esistenza ma anche tutta la forza di questi fili, apparentemente fragili, ma tali da non poter più essere spezzati e capaci quindi di agganciare il malato a quella «storia meravigliosa dell'universo e della vita», di cui rappresenta pure una parte, per quanto piccola possa essere.

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Questo testo era pubblicato su Internet nella pagina http://www.lastampa.it/_settimanali/ttl/estrattore/Tutto_Libri/art16.asp, del 31 giugno 2006, ora non più disponibile in linea.