La malattia è stata
una delle realtà più drammatiche e sconvolgenti
per l'uomo di ogni tempo. Lo era anche nel mondo di Omero in
cui si trovano solo morti o vivi, sani o prontamente risanati,
se colpiti da mali o feriti in battaglia, grazie ai phàrmaka
e all'arte di guarire. Nell'Iliade la esercitano Podalirio e
Macàone, i due figli del dio della medicina, Asclepio,
che sotto le mura di Troia restituiscono prontamente la salute
perduta ai giovani eroi, estraendo frecce, curando ferite, trattando
le piaghe con «blandi rimedi».
La malattia invalidante o cronica non trova spazio in quel mondo
ed è stata una realtà pressoché sconosciuta
per un lungo tratto della storia umana, quando a dominare erano
malattie infettive acute - dalla peste, al vaiolo, al tifo al
colera - il cui esito mortale sopraggiungeva nel volgere di pochi
giorni. L'inedita situazione rappresentata da un nuovo pianeta
popolato di longevi e di sopra-viventi appartiene all'orizzonte
della contemporaneità e alla parte del mondo ricca e sviluppata
in cui si è compiuta la «transizione epidemiologica»
che ha portato le malattie degenerative e croniche a prendere
il posto di quelle infettive e acute.
La realtà di patologie come il diabete o la sclerosi multipla,
il morbo di Parkinson e le cardiopatie, accompagna, talora, buona
parte della vita, esigendo continui controlli e lunghi periodi
di osservazione e di cura, sia a domicilio sia in ambiti specialistici.
Invalidanti a vari livelli, esse implicano sofferenza, deprivazione,
adattamento a nuovi stili di vita e nel modo di pensare a se
stessi in rapporto agli altri. L'esperienza della malattia cronica
è al centro di questo libro "Mille fili mi legano qui. Vivere la
malattia", scritto
da Silvia Bonino, psicologa dello sviluppo e affetta da sclerosi
multipla, che intreccia la scrittura d'esperienza con quella
saggistica, attingendo alle risorse del suo sapere scientifico.
Subdola, di difficile diagnosi, quella patologia condanna coloro
che ne soffrono a dipendere dalla farmacologia e dalla tecnologia
medica e a vivere in una multiforme condizione di malessere.
Ma quel male resta sullo sfondo ed è evocato sobriamente
e raramente col suo nome, come nel capitolo «Perché
proprio a me?», uno dei più intensi di questo libro-testimonianza.
L'angoscioso, eterno interrogativo - un'eco del lamento di Giobbe,
il giusto-sofferente, che, trafitto dal dolore, s'interroga e
non capisce - ritorna di fronte al non senso dell'aggressione
esogena che scompagina ogni progetto di vita e l'universo delle
certezze. Insieme alla morte, la malattia «rappresenta
il disordine per eccellenza: essa mette in discussione, insieme
alla salute e alla sopravvivenza fisica, tutta la rete di significati,
di progetti e di aspettative su cui la nostra vita si era fondata
fino a quel momento, e prospetta un avvenire incerto e gravato
di pesanti limitazioni».
Ma è possibile affrontare la malattia cronica come uno
dei tanti «compiti di sviluppo», ammesso che questo
non sia solo il risultato di «guadagni», di progressi,
ma anche di perdite? L'autrice ne è convinta. La sua riflessione
scientifica, mai staccata dall'esperienza soggettiva, si muove
intorno ai principi teorici della psicologia dello sviluppo in
relazione al tema della malattia cronica, e al ruolo attivo del
malato nel costruire un percorso di sviluppo e adattamento nella
concretezza del vissuto: «trovare un senso», «ricostruire
l'identità», «affrontare lo stress»
danno anche il titolo ad alcuni capitoli del libro.
Dal malato al medico, il passo è breve e introduce alla
relazione di cura, che presenta caratteri del tutto particolari
in mali in cui - scriveva un clinico a metà Ottocento
- «il guarir non ha luogo» e lo specialista è
chiamato, nel tempo lungo della loro durata, a «prendersi
cura», sapendo di non poter guarire, tra scienza e valori
umani . Le considerazioni sulla necessità di vivere al
meglio la propria esistenza «nell'angolo di mondo e nell'arco
di tempo [...]concesso» chiudono la sofferta meditazione
e spiegano il senso del titolo: i mille fili sono quelli che
formano l'intricata rete della vita di ogni persona e che collegano
i fatti, gli incontri, le esperienze, i luoghi, immaginati prima
come privi di rapporti reciproci.
La malattia cronica, allora, quella cosa «Altra»
può diventare, nel suo radicale non senso, l'occasione
per mostrare non soltanto l'esistenza ma anche tutta la forza
di questi fili, apparentemente fragili, ma tali da non poter
più essere spezzati e capaci quindi di agganciare il malato
a quella «storia meravigliosa dell'universo e della vita»,
di cui rappresenta pure una parte, per quanto piccola possa essere.
Copyright 2006 La Stampa Web.
Questo testo era pubblicato su Internet nella pagina http://www.lastampa.it/_settimanali/ttl/estrattore/Tutto_Libri/art16.asp,
del 31 giugno 2006, ora non più disponibile in linea. |